Il primo ospite a “I mercoledì della Pieve”, il prof. Oscar Mei, docente associato di Archeologia classica nell’Università Carlo Bo di Urbino, ha illustrato tematiche inerenti a Archeologia a Gaifa e dintorni: Canavaccio e Calmazzo in età romana.
Da tale incontro-conferenza, si riportano alcuni degli argomenti esposti, imprescindibili per la storia di questi luoghi, a partire dalle ipotesi sulle “presenze romane vicino alla pieve medievale”; l’interesse per l’area è testimoniato fin dal 1720 da Giovan Francesco Passionei quando scriveva al fratello Domenico, poi cardinale a Roma, di essersi recato alla pieve di Gaifa per vedere una certa fabbrica antica, ricoperta da un uomo e mezzo di terra:
«vidi vicino alla porta della pieve lontana da Calmazzo due miglia circa, molti capitelli di marmo antico, una lunghissima colonna di granito d’Egitto ed altri pezzi di marmi, che dinotavano esservi stata anticamente qualche bella fabbrica o di bagni o di un tempio.
L’arciprete di Gaifa mostrò un libro delle memorie della chiesa, dove vi erano varie memorie di tradizioni antiche che in detto luogo vi fosse un bellissimo tempio, ed io voglio rivedere il detto libro per vedere cosa dice e per potere venire in chiaro di qualche cosa per il nostro proposito. Io poi feci scavare per cinque giorni continui, dove si diceva esservi de’ marmi antichi e ritrovai una fabbrica col pavimento a mosaico, o sia tessellato ed un canale di piombo, di luce quattro piastre unite insieme e le muraglie incrostate d’un certo verdaccio antico, segato a tavolette, e da un canto ritrovai una moneta di Claudio che vi accludo» ~ cfr. A Vernarecci., Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri, 2., 1903, pp. 90-91, riporta il ms. della Biblioteca Passionei, vol. 35.
Il prof. Mei si è poi soffermato sul Vicus di Calmazzo, su quanto è possibile visionare ancora in situ, come il recinto con monumenti sepolcrali, l’area sepolcrale nella vicina località di Ponterotto, ma anche sul riutilizzo di alcuni reperti già nella chiesetta S. Maria di Pontemoro non più esistente, che sorgeva nelle vicinanze del Ponte di Traiano, sul Metauro, a Calmazzo, distrutto durante la seconda guerra mondiale.
Tra i reperti, iscrizioni onorarie con dediche a Claudio e Agrippina, decorazioni architettoniche -tre elementi con girali d’acanto, oggi nel museo di Fossombrone-, iscrizioni nel portichetto della chiesa, dove erano murate; tra queste, il cippo attualmente nel Museo del Lapidario di Urbino, che attesta il restauro del Ponte di Traiano (si è ipotizzato anche si trattasse del Ponte di Diocleziano). Riguardo alla chiesa di Pontemoro, va aggiunto che essa apparteneva all’abbazia di S. Angelo di Gaifa come riportano le bolle del 1110 e del 1146 dei pontefici Pasquale II e Eugenio III, in cui si elencano i possedimenti dell’importante abbazia: il cippo commemorativo ora in Urbino, è ricordato dagli storici riutilizzato nella stessa chiesa o proveniente dall’abbazia.
Un altro argomento, l’esistenza di Forum Brent(ani ? um? orum?) menzionato da Plinio il Vecchio, nella Naturalis Historia, che ricorda tra i popoli della Regio VI, i Forobrentani, immediatamente seguiti dai Forosempronienses. è il luogo di origine di Luca Petronio Sabino, di cui è liberto il giovane Lucio Apuleio, come è nell’iscrizione sul cippo (anni 170-180) attualmente nel Museo del Lapidario di Urbino, rinvenuta nel castello di Primicilio, tanto da localizzare ipoteticamente Forum Brentani appunto a Primicilio (ma diverse sono le ipotesi). Il personaggio Lucio Petronio Sabino è espressamente attestato come originario di Foro Brent(anorum) in un’altra iscrizione (fine 176-inizio 180), mentre in una terza, posta in onore della figlia, è ricordato come patrono della colonia di Ancona, centurione del primo manipolo dei triarii, procuratore di due augusti (probabilmente Marco Aurelio e Commodo).
L’intervento del prof. Mei, seguito con particolare interesse dal numeroso pubblico presente, ha contestualizzato il territorio rapportandolo con la grande via consolare Flaminia e con i diverticoli da essa dipanatisi. I temi sopraesposti trovano parzialmente spazio anche nella monografia Gaifa la terra di nessuno; ad un anno dalla pubblicazione, ciò conforta sulla scientificità del lavoro svolto.
Anna Fucili, giugno 2024