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Cossi Leonardo

Ricordi d'infanzia

Riflessioni sulla scelta di “vitae”

Dedicato a coloro che hanno lasciato un segno nel mio cammino da fanciullo a sessantenne,
Grazie a:
Bassani Andrea e Sua moglie Lisa (Nonna Lisa)
Bassani Florido e Sua moglie Bruna (Nonna Bruna)
Bassani Guerrino detto anche il Rosc’
Gigin Sartori
Salvatore (il cantiniere)
Nunziata (la rammenda balle di grano)
Norina (la balia)
Alessandroni (mezzadro)
Sanchioni (mezzadro)
Mercantini chiamato Checc (affittuario)
Arduini Nello (mezzadro)
Bernacchia (mezzadro)
Carlo Rossi (affittuario)
Galanti (mezzadro)
Venturi di Ca’ Le Sore (mezzadro)

… Erano gli anni sessanta. Era in vigore ancora la mezzadria, poche erano le auto, più spesso soprattutto intorno alla casa dei nonni si vedevano le vacche dei vicini, i Bassani, che trainavano a volte la treggia colma di fienagione a volte il carro dai colori siciliani che tornava dal campo dopo aver raccolto il formentone.
Era estate e spesso vedevo arrivare a fatica, dopo la salita dello stradone che conduceva alla casa e cantina, ai miei occhi di bambino quei grandi mezzi che erano i Guzzi a tre ruote, dinosauri mono tematicamente grigi, cabinati con cassone colmo di damigiane poste a piramide per una carico più che estremo.

Arrivavano in due o tre, tutti dalla vicina Romagna, a caricare damigiane e damigiane di limpidissimo e meraviglioso bianchello, creato dalla esperienza monumentale di Salvatore, il cantiniere. Salvatore era un omone, almeno così ho il ricordo, arrivava in cantina puntuale come un orologio svizzero, meno famosi allora di oggi, arrivava alla Chiesina delle Nevi in fondo allo stradone, appoggiava la bicicletta alla “cerqua” sulla destra, dieci minuti di salita
a piedi e lo vedevi già in cantina.

Il più bel ricordo fu quando gli chiesi: ma tu Salvatore non bevi mai l’acqua? Con estrema serenità ed espressione burbera mi rispose: che io ricordi non l’ho mai bevuta.
Rari erano i suoi sorrisi ancorché sempre gentile, mai una parola di troppo, mai scomposto nel suo ruolo di “re della cantina”. Ci facemmo un bicchierino di quelli da osteria, appoggiato sulla trave orizzontale della botte di bianchello, il vino era fresco, luminoso a guardarlo contro la lampadina, leggermente frizzantino, colore della luna nel bicchiere.

Salvatore schioccava la lingua sul palato dopo la bevuta come a dimostrare la soddisfazione del suo lavoro … Mi ritrovarono al tardo pomeriggio ubriaco sotto una quercia, avevo 5/6 anni. A quei tempi si vendemmiava ai primi di ottobre. La prima vendemmia nel paese di Canavaccio la faceva Carlo Rossi, nel podere della Biacchina, intorno al 20 settembre. Fargli visita era un obbligo in quanto si acquisivano le prime informazioni sulla qualità delle uve e dei mosti. Carlo vinificava sotto casa, nella sua orgogliosa cantinetta, a dire il vero nemmeno tanto piccola rispetto ad altri mezzadri.

Produceva un bianchello fresco, con una bella acidità, piuttosto tendente al verdolino che al giallo paglierino … Non era forse il migliore dei vini ma sufficientemente buono.
Gli altri mezzadri come le Famiglie Alessandroni, Sanchioni, Galanti, I Sartori e gli altri, portavano le uve in cantina dove Salvatore iniziava il miracolo. Ho sempre visto uve meravigliose in quanto i mezzadri ci tenevano a fare bella figura ed era una prova della
conduzione al meglio del podere a loro affidato.

Uve dolcissime, il giallo e il rosa di tutte le sfumature facevano sembrare le cassette dei quadri, prese in mano da forti braccia che tramite una passerella finivano in una diraspatrice e tramoggia azionata da cinghie e motori oggi fantascientifici. Macchine da
museo. Altre figure raccoglievano i raspi e li scaricavano sotto i tigli.
Che emozione! Si scaricava e si pigiava, era un continuo, un viaggio dietro l’altro, sorrisi e soddisfazioni e tante raccomandazioni di bere poco mosto perché pericoloso (?).

Raccomandazioni non so se dettate dal vero senso attribuibile al mosto piuttosto al fatto
che ci sarebbe stato meno vino in botte. Era un bel gioco … Giovanie meno giovani, anziani e meno anziani, erano tutti in armonia. Sembravano scomparse le fatiche quotidiane della terra cruda e bassa. Le casse di uva più belle venivano invece appese al soffitto per tramite dei ferri chiamati “sturìn”, uve riutilizzate poi in parte per la governa e parte per il vin santo.

Passati i giorni della frenesia amavo andare dai Bassani, la casa adiacente a quella dei nonni, dai fratelli Florido e Rosc’. Avevano la cantinetta sotto la scala a fianco del pollaio, erano piccole le botti e il vino piacevole ma mai quanto il filarino di pane che la Nonna Bruna, moglie di Florido, soleva regalarmi appena sfornato. Il segreto era di Florido che prima dell’infornata sfocava il forno con fascine di rovi selvatici. Un grande segreto per un grande pane.

La sorpresa non finiva, il giorno dopo nel forno ancora caldo svuotato del pane la Nonna Bruna infornava delle mele giganti che raccoglieva per lo stradino che portava ai pozzetti …. Erano una meraviglia. Ho vissuto ancora mille episodi di quei fantastici anni ma alcuni mi sento nel dovere di raccontarli perché hanno lasciato un segno. Nonna Lisa, moglie di Andrea Bassani, un pomeriggio di fronte al camino, fuoco tenue per non consumare la faticosa legna, mi raccontò che nella sua vita quasi centenaria non aveva mai preso in mano un soldo, una lira … Che tempi!

Un altro pomeriggio piovoso, ero ormai maggiorenne, capitai a trovare la Nonna Bruna e raccolti al tavolo della cucina, in cima alle scale, c’erano anche Florido e il Rosc. Lo sguardo mi va su un quadretto appeso al lato destro della cucina, dove sotto un vetro
c’erano due medaglie … Chiesi con curiosità. Erano due medaglie al valore militare dei due fratelli, tornati a piedi dalla Russia nella seconda guerra mondiale, sino alla Jugoslavia
assieme al fratello Dario, dal quale si separarono in quanto Dario intenzionato a ritrovarsi con la fidanzata a Spalato. Dario finì i suoi giorni a Spalato impiccato dal nemico.

Ogni volta che ricordo questo episodio cado in una profonda tristezza d’animo, mi si raffredda il cuore, mi tormento e non riesco più a razionalizzare le ragioni di una guerra inutile e insulsa, del mancato rispetto per la vita umana, per i sacrifici di coloro che ci hanno preceduto, di coloro che dopo aver servito la patria hanno dato il sangue per il lavoro e la famiglia. Non c’è mai stata riconoscenza per i più deboli e per i buoni. Florido e Guerrino (il Rosc’) erano uomini buoni. La loro vita è parte della mia. Sono stati l’esempio di ciò che dovremmo essere tutti.

… Sono passati tanti anni, ora sono più che sessantenne, mi hanno lasciato tante persone conosciute. Non c’è più Salvatore, non ci sono più i fratelli Bassani, non c’è più Gigin Sartori e suo figlio Paolo (lo ricordo nelle trebbiature nelle aie dei poderi con le macchine del Drago), non ci sono gli altri …
Questi sono stati i pali delle mia fondamenta che mi hanno portato quasi 20 anni fa a ripercorrere nuovamente la storia, a riprendere in mano la terra, le viti, la cantina, il profumo del buon vino.

Un’occasione presa al volo, una vecchia azienda agricola con 3 ettari di vigneti, piantati chi dice negli anni 60 chi negli anni 80, poco importa, ci vedevo il sogno della mia vita.
Diventò la mia vigna, piantai altri vigneti a fare compagnia ai primi, iniziai a far lavorare i ricordi. La Brombolna è sempre la mia amica, la scorgo a est, dopo la terza collina, la prima il Monte di San Marino, e dopo la seconda il monte di Santa Maria. A est, dove sorgono il sole e la luna, dove nasce il nuovo giorno, dove ho i ricordi e le spoglie della mia famiglia.

Il grande aiuto di mia moglie Paola e dei miei figli mi ha portato oggi a essere una cantina di riferimento nel mondo del vino naturale, parola scomoda e impropria ma la più veloce per comprendere la produzione di vini senza utilizzo di chimica e prodotti di sintesi. Leggete la parola naturale come se fosse “consapevole, artigianale, contadina, alternativa, …” Non è importante la parola quanto il risultato.

Oggi, nel silenzio del tempo, senza rumori, produciamo vini di elegante qualità, con diverse sfumature e non solo di colore, dai bianchi, agli orange, dagli ancestrali ai rossi, per finire con i passiti affinati in botticelle di legno locale come il gelso, il frassino, l’acacia, il rovere, il ciliegio, … Vini infiniti, senza spazio e senza tempo, vini della vita, della vita mia e della mia famiglia, della vita che dona la terra ma che poi la terra si riprende. Solo i ricordi rimangono per rendere migliore ogni giorno, la loro compagnia è un viaggio migliore.

Grazie a Paolo Sanchioni, che con la Sua tenacia è riuscito a rubarmi qualche ora regalandomi nuovi momenti di emozione.

Leonardo Cossi

La Pieve di Gaifa

Via Pieve di Gaifa, 24
61029 Canavaccio di Urbino (PU)
Marche – Italy

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